Accade che il sonno diventi difficoltoso, impossibile o accidentalmente ridotto, (per malattia o per altro); il poligrafo registrerà allora elementi di disturbo al sonno stesso, che sveglieranno il dormiente e generando nello stesso tutto quanto viene definito “insonnia”. Insonne è chi si affatica ad addormentarsi o chi si sveglia più volte durante la notte, ma anche chi insegue risvegli precoci al mattino (il 50 % degli italiani tra anziani e adulti è affetto da questo disturbo). E’ ufficialmente diffusa l’opinione di esperti che identificano l’insonnia come un fedele compagno di soggetti quotidianamente affaticati dal lavoro o oberati di responsabilità familiari.
In questi periodi aumentano infatti ansie e depressioni,
tipicamente associate all’insonnia; inoltre certi cambiamenti fisiologici
significativi possono provocare rotture nei ritmi normali nel sonno. Spesso
l’insonnia non arriva di colpo: comincia con crisi ricorrenti, che poi
diventano persistenti e infine croniche. Per questo i medici ritengono che sia
importante cogliere in tempo i primi sintomi e intervenire in modo da non
permettere alla spirale dell’insonnia di instaurarsi e imprigionare
l’individuo.
E’ certo, altresì, che il dormire “male” aumenta
con l’età. Negli USA soffre di insonnia l’8 % dei giovani tra i 15 e i 29 anni;
questa percentuale però sale dopo i sessant’anni e cresce di più nella
“quarta età”. Con l’invecchiamento, infatti, nel corpo umano accadono
parecchie cose dal punto di vista sia fisiologico che patologico: molte
disfunzioni e malattie influenzano, a volte seriamente, la quantità e la
qualità del sonno. Ancora con l’età cambia il tempo d’addormentamento e la
capacità di dormire senza interruzioni; i risvegli ricorrenti aumentano e
diventano di maggiore durata.
Ci sono poi le patologie. Insonnia e patologie hanno un
rapporto a doppio binario, nel senso che se è vero che certe malattie possono
provocare l’insonnia, è ancora più vero che l’insonnia può favorire l’insorgere
di certe malattie e moltissimi, tra i disturbi del sonno che provocano alcune
patologie, non vengono riconosciuti e curati. Tra questi c’è la narcolessia dal
greco “narkè” (torpore) e “leipsis” (mancanza), la
narcolessia è una malattia che si presenta con diverse varianti. Il dato
comune, comunque, è la grande sonnolenza durante il giorno; una sonnolenza
prorompente e irresistibile che fa addormentare il paziente ovunque si trovi. A
tale sonnolenza possono accompagnarsi forme più o meno gravi di cataplessia:
cioè nel corpo si verifica una improvvisa debolezza muscolare che provoca, al
soggetto narcolettico, l’immediata caduta a terra. Il soggetto è spesso
cosciente di quanto gli sta accadendo ma non è mai in grado di rispondere e
reagire perché paralizzato. Altre volte, invece, piomba direttamente nel sonno
paradosso, con sogni allucinanti.
Questa strana sonnolenza e questi attacchi di sonno
improvvisi e imperiosi sono più o meno dipendenti dal fatto che il soggetto
abbia, o non, dormito la notte precedente. Essi, strano a dirsi, sono
solitamente scatenati da una forte emozione, o da qualcos’altro che non è stato
ancora bene identificato. Una sola cosa è certa: la narcolessia si produce a
livello dei sistemi di regolazione del sonno paradosso, e ci sono abbondanti
prove che questa malattia sia associata ad un fattore genetico.
Secondo un’ipotesi, il danno sarebbe dovuto a un meccanismo
auto-immunitario: cioè l’organismo, reagendo contro una infezione virale,
provocherebbe lesioni anche in una parte del cervello, quella che regola il
sonno REM. Nonostante ciò, nessuno tra i più illustri studiosi si sente di
ammettere pienamente che la narcolessia possa essere una malattia ereditaria in
senso stretto; anche se è stata provata una correlazione con i parenti di primo
grado.
Tra l’altro va anche detto che la narcolessia è stata
osservata anche in alcuni animali, come ad esempio i cani. La poca conoscenza
della malattia, purtroppo, non consente di fornire al momento cure adeguate;
tuttavia l’attacco di cataplessia può essere attualmente curato abbastanza bene
con alcuni farmaci, a differenza dell’attacco di sonno che è più difficile da
trattare o controllare.
La molteplicità dei livelli di misurazione e di strumenti di misura della sonnolenza ha permesso una comprensione migliore del fenomeno ma anche delle cause che ne determinano l’insorgenza. In generale le variazioni giornaliere della sonnolenza dipendono sia da fattori endogeni sia che fattori esogeni. Johnson (1982) ha indicato un elenco di cause diverse capaci di influenzare sì è la vigilanza quanto le prestazioni di un individuo.
Potremmo quindi schematizzarle così come riportato in figura
Alla luce delle determinanti appena elencate potremmo suddividere
le stesse in due macro aree da trattare separatamente: fattori circadiani e
connessi al sonno, e le differenze individuali.
Determinanti della sonnolenza: fattori circadiani e connessi al sonno.
In questa macro area rientrano i fattori
connessi al sonno come quantità e qualità, quelli di tipo circadiano, la fatica
indotta derivata da un’attività prolungata; tentando di capire come questi
contribuiscono a modellare livello di vigilanza.
Determinanti della sonnolenza: differenze
individuali.
Tra i fattori capaci di influenzare i livelli di sonnolenza si devono annoverare una serie di tratti individuali che differentemente modulano i livelli di vigilanza. Infatti anche controllando sperimentalmente tutte le variabili circadiane, quelle relative al sonno, si osserva una variabilità interindividuale ed intra individuale dei livelli di vigilanza. Il primo fattore che bisogna considerare apprestandosi ad affrontare le differenze individuali riguarda la distinzione tra le differenze individuali di tipo permanente e quello di tipo temporaneo. Le prime sono da considerarsi delle differenze di tipo costituzionale ovvero caratteristiche che esistono per motivi genetici o fisiologici, tra questi il genere caratteristiche di personalità o la tipologia circadiana. La seconda tipologia invece riguarda perlopiù quell’insieme di capacità e abilità che influiscono sui fattori omeostatici e/o circadiani che producono sonnolenza e che potremmo chiamare anche meccanismi di coping.
Per quanto riguarda le caratteristiche di personalità,
la maggior parte degli studi sulla sonnolenza hanno permesso di distinguere due
categorie di soggetti: quegli con buona prestazione quella con cattiva
prestazione. Durante gli anni 60 si pensò alla possibile esistenza di una
relazione tra caratteristiche di personalità e ritmi biologici. Infatti il
costrutto che sembra presentare maggior grado di predittività delle capacità di
prestazione risultò essere quello di introversione/estroversione riferitesi
alla teoria della personalità di Eysenck (1967). Questa teoria infatti
individua tre principali dimensioni di personalità: nevroticismo-stabilità,
psicoticismo-superego e infine estroversione-introversione. L’autore cercò di
spiegare il fenomeno attraverso l’uso di quella che egli chiama inibizione
reattiva; ovvero i soggetti estroversi avrebbero dei potenziali inibitori che
si svilupperebbero velocemente e si dissiperebbero lentamente. Potremmo dire
quindi che alla base della dimensione I-E ci sarebbe il bilanciamento tra
eccitazione inibizione. Successivamente lo stesso tuo le riformulò la sua
teoria riprendendo il concetto di arousal secondo cui gli introversi
presenterebbero un livello di attivazione di base più elevato rispetta gli
estroversi.
Più di recente Hockey (1986) ha rigettato questo tipo di modello ipotizzando invece che esista una capacità di controllo diversa: gli introversi sarebbero capaci di esercitare maggior controllo sull’attività interna e quindi meno influenzabili dalla presenza di fattori attivanti come ad esempio droghe, rumori, compiti secondari o incentivi. Per quanto riguarda la relazione tra estroversione-introversione, caratteristiche prestazionali e sonnolenza, i dati risultano contrastanti, alcuni autori, infatti, hanno riportato una serie di dati che indicherebbero come gli introversi fornirebbero delle prestazioni migliori al mattino e peggiori nell’arco della giornata. Tuttavia queste covariazioni non sempre sono chiare e univoche.
Un altro tratto individuale stabile che
presenta una relazione con la sonnolenza risulta essere la tipologia circadiana
ovvero la caratteristica di mattutinità o serotoninità; la distinzione degli
individui sulla base della loro tipologia è risultato un criterio ottimale di predizione
sia per alcune prestazioni psicologici sia per alcuni ritmi più prettamente
biologici. Questa distinzione è stata resa possibile grazie allo sviluppo di
diversi questionari standardizzati come il Morningness-Eveningness
Questionnaire (MEQ, Horne e Ostberg, 1976). La versione italiana dello stesso è
stata proposta da Violani et al. (1992), i due autori hanno distinto tre principali
tipologie i mattutini o M-type, i serotonini o E-type e la categoria intermedia
I-type o N-type. Diversi studi elettrofisiologici hanno mostrato come le
differenze tra i due tipi di soggetti non riguardi né la lunghezza del periodo
di sonno necessario né la struttura del sonno, ma semplicemente l’orario
preferito da ciascuno per l’attività e per il riposo, caratteristiche che
rimangono costanti anche in condizioni di free-runnig. Altra differenza
riguarda il ciclo della temperatura corporea, esso è diverso nei soggetti
serotonini e soggetti mattutini, i primi infatti presentano un acrofase posticipata
da una tre ore e presentano anche un’ampiezza della temperatura maggiore. Per
quanto riguarda le variabili psicologiche si è visto come, per i soggetti
mattutini, le prestazioni sia motorie che cognitive siano migliori al mattino, come
si presentino prestazioni costanti durante tutto l’arco della giornata ed
infine come questa tipologia coincida con la caratteristica dell’introversione.
Le spiegazioni di tipo fisiologico di
queste differenze riguardano perlopiù il livello di esecrazione di adrenalina
che nei soggetti mattutini sarebbe maggiore al mattino mentre nei soggetti
serotonini sarebbe presente un’escrezione costante.
In conclusione questi dati suggeriscono
che i soggetti mattutini e sono anche tendenzialmente più introversi, hanno
migliori prestazioni e maggiorui livelli di tolleranza alla sonnolenza estrema.
Altro fattore importante riguarda l’età,
infatti è noto come ad età più avanzate corrisponda un ciclo di sonno più
frammentato, infatti gli anziani presentano un numero più elevato di risvegli
notturni e un numero maggiore di sonnellini diurni dovuti più che altro all’accumulo
di sonnolenza conseguente alla ridotta quantità e qualità del sonno. L’età è inoltre spesso connessa al concetto
di tipologia circadiana, infatti chi è serotonino o mattutino non è detto che
rimanga tale per tutto l’arco della sua vita. Durante primi mesi di vita
infatti si instaura un ciclo semplice costante di ritmicità ultradiana il
cosiddetto ciclo BRAC ipotizzato da Kleitman nel 1963. Solo dopo i tre anni di
età si instaura un ritmo simile a quello circadiano, ritmo che si stabilizzerà
progressivamente fino all’età di 15 anni; questo ritmo tenderà ad assumere
caratteristiche di mattutinità nei giovani adolescenti mentre per i giovani
adulti si osserverà una chiara tendenza alla seroninità. Con il progredire
dell’età ovvero oltre cinquant’anni si evidenzia invece una tendenza per tutti
soggetti a diventare più mattutini. Quindi questi dati permettono di concludere
che livelli sonnolenza sono maggiori e il grado di sopportazione della stessa èvminore
al progredire dell’età.
Altre differenze riguardanti le
caratteristiche di tipo permanente sono quelle che riguardano i ritmi
circadiani in funzione del genere; perlopiù è stato ipotizzato che esse dipendano
da alcune diversità della ritmicità neuroendocrina sottostante. Sembra infatti
che gli estrogeni funzionino come attivatori del sistema nervoso centrale,
mentre il progesterone presenterebbe tendenzialmente un effetto opposto. Alcuni
studiosi (Broverman et al., 1968) hanno addirittura proposto un modello delle
variazioni di efficienza cognitiva nelle donne:il livello di attivazione
sarebbe maggiore al nono giorno del ciclo fino all’ovulazione, quando cioè gli
estrogeni sono al loro massimo, mentre il periodo premestruale, con il
progesterone e gli estrogeni al minimo, l’attivazione dovrebbe risultar
ridotta. In ogni caso è stato comunque sottolineato che le donne rispetto agli
uomini presentano un maggiore livello generale di attivazione, una gamma di
oscillazioni delle presentazioni più ampia e una tendenza alla mattutinità.
Negli ultimi anni diversi studi si sono occupati del problema relativo ai meccanismi di coping in situazioni lavorative particolari. Alcune rassegne (Rosa, 1990; Harma, 1993) si sono trovati concordi nell’individuare una serie di fattori che avrebbero un ruolo determinante nelle capacità individuali nel far fronte ai cali di vigilanza. Il primo fattore è la responsabilità o impegno: che potremmo definire come tolleranza alla sonnolenza; infatti questa può essere fortemente influenzata dalla disponibilità e dalla motivazione delle persone a conformare le proprie abitudini di vita all’orario lavorativo, tale disponibilità tuttavia è a sua volta influenzata incentivi monetari e alla possibilità di facilitazioni o di avanzamento della carriera. Il secondo fattore che va considerato è la stimolazione ambientale: infatti vari meccanismi possono indurre la sonnolenza durante i turni lavorativi: un ambiente monotono, poco illuminato ed eccessivamente riscaldato. Si è provato individuare quali sono le strategie adattive orientate a movimentare il turno lavorativo e si è così evidenziato come la musica o la stimolazione sonora rappresentano un ottimo metodo per incrementare la prestazione o comunque per prevenire i cali di vigilanza. La temperatura molto elevata risulta un fattore fortemente stressante, pertanto si ritiene utile mantenere l’ambiente a temperatura costante e non molto elevata. Un altro fattore interveniente è l’attività motoria o l’esercizio fisico; è molto interessante come questo possa fungere da un utile contromisura per prevenire la sonnolenza, infatti anche un esercizio leggero come una passeggiata presente la caratteristica di migliorare la prestazione e incrementare il livello di allerta.
Un ultimo fattore ma non meno importante
nel promuovere un migliorare le prestazioni o comunque per ridurre la
sonnolenza riguarda l’illuminazione ambientale. In vari studi è stato mostrato come
la moderata e costante luce artificiale possa innalzare livelli di allerta. Campbel
e Dawson (1990) hanno infatti ricontrato come un’illuminazione ambientale
costante di circa 1000 lux è sufficiente a migliorare tanto le prestazioni
cognitive quanta la vigilanza notturna rispetto ad una condizione di controllo
con illuminazione a 100 lux. Tuttavia sebbene livelli di illuminazione sembrano
influenzare positivamente alcune variabili prestazionali e soggettive le variabili
più direttamente connesse ai livelli di sonno lenza quali potenze spettrali delle
onde delta e theta nell’EEG dei soggetti ad occhi chiusi, non sono risultate
sensibili alle diverse intensità di illuminazione. Un altro metodo ben
conosciuto e comunemente utilizzato è quello del ricorso ad aiuti farmacologici,
spesso infatti si fa uso, per promuovere la vigilanza, di eccitanti tipo
caffeina e anfetamina oppure per facilitare il sonno ipno-inducenti come le
benzodiazepine.
Un altro fattore da tenere in
considerazione nella gestione dello stato di vigilanza è quello legato a regime
di dieta; la ricerca infatti si è rivolta allo sviluppo di regimi alimentari
tali da favorire vigilanza o rilassamento. Diversi studi (Lennernans et al.,
1994) hanno evidenziato una serie di variabili nutrizionali al fine di
individuare la dieta giusta all’aumento della vigilanza: una quantità ridotta o
moderata di cibi altamente proteici può aiutare a sostenere periodi di allerta,
mentre cibi con alte concentrazione di carboidrati hanno la caratteristica di
indurre la sonnolenza.
Tra le caratteristiche di coping vanno
considerate anche le norme chiamate igiene
del sonno (Zarcone, 1994) ovvero una serie di comportamenti errati che
spesso vengono adottati in concomitanza con la fase di addormentamento che
possono rendere difficile la transizione veglia-sonno. Tra questi comportamenti
ci sono la rumorosità dell’ambiente, la temperatura, la quantità e qualità dei
cibi o di liquidi assunti precedentemente, l’assunzione di nicotina o di altre
sostanze quelle di esempio quelli facenti. Studi invece si sono perlopiù
focalizzati su quella che è la gestione della vigilanza e le modalità di coping
riguardanti appunto la sonnolenza in ambito lavorativo: è stato evidenziato che
la presenza di sonnellini preventivi consentono di mantenere livelli di
prestazioni migliori rispetto a quelle osservate in assenza di sonnellini.