La testimonianza di un minore

Da circa un decennio, si fa strada l’idea che, partendo dalla considerazione secondo cui i risultati di una testimonianza dipendono anche dalle modalità di ascolto del teste, il sistema normativo debba includere e tutelare dei veri e propri “statuti speciali” per alcune particolari categorie di fonti testimoniali. La più importante di esse è, senz’altro, rappresentata …

La testimonianza di un soggetto con infermità mentale.

L’incidenza del disturbo di mente sulla testimonianza è un tema tanto poco valutato quanto scottante, soprattutto perché celato dietro alla personalità, nei sistemi relazionali e di rapporto con la realtà di colui che viene assunto come testimone. Il disagio psichico, in genere, la patologia di rilievo psicologico e psichiatrico, ed in particolare l’attendibilità intrinseca di …

La capacità di rendere testimoninanza

Ogni persona ha capacità di testimoniare, come prevede positivamente l’art.196 c.p.p., ciò sta a significare che qualsiasi persona, possiede la capacità di testimoniare, comprendendo nel novero tutti i soggetti idonei alla testimonianza, persino l’infermo di mente, il minorenne, ed il minore di anni quattordici, seppur in questi 3 casi giudice dovrà valutare con particolare attenzione …

La perizia psicologica

Il giudice ha facoltà di disporre l’esecuzione di carattere peritale quando ritiene necessario acquisire valutazioni su cognizioni tecniche riguardanti specifiche scienze o arti, le quali in alcuni casi costituiscono prova ai fini peritali. Ugualmente gli avvocati delle parti, la Procura della Repubblica in una fase del procedimento a anche preliminarmente allo stesso possono richiedere ad …

Serial Killer

Uno dei fenomeni più interessanti della criminologia è caratterizzato dallo studio del “serial killer”, denominazione anglo-americana che in lingua italiana significa “assassino seriale”, nel 1957 venne usato il binomio di “chain killer” per denominare una catena di omicidi ma l’espressione “serial killer” venne utilizzata nel 1970 dall’agente speciale dell F.B.I. Robert Ressler. Il termine aveva principalmente lo scopo di distinguere il comportamento di chi uccide ripetutamente nel tempo con pause di raffreddamento, dagli omicidi plurimi che si rendono colpevoli di stragi.

Nonostante non esista una definizione univoca di assassino seriale, c’è accordo sul definirlo come <<individuo che sulla base di un’associazione di motivazioni quali potere, sesso, dominazione e morte, commette ripetutamente,in differenti locazioni ed in un arco di tempo variabile, più omicidi >>. Tecnicamente si considera “serial killer” chi compie tre o più omicidi distribuiti in un arco relativamente lungo di tempo, intervallati da periodi di “raffreddamento emozionale” (cd.” Cooling off period”) durante i quali il serial killer conduce una vita sostanzialmente normale. Differenziamo il serial killer per alcuni aspetti infatti esiste anche lo spree killer ovvero assassino compulsivo che commette omicidi di due o più persone in un lasso di tempo molto breve, in luoghi differenti ma contigui; poi c’è il mass murder o assassino di massa che uccide quattro o più persone nello stesso luogo e nello stesso episodio,egli è il tipico esaltato che vuole mandare un messaggio alla società e per farlo è disposto a sacrificarsi, in quanto non crede di uscire illeso dall’episodio.

  • Caratteristiche tecniche del “serial killer”

Dall’analisi del delitto si possono ricavare alcune caratteristiche di base dell’assassino seriale:

– MODUS OPERANDI: Esso comprende tutte le modalità ed i mezzi utilizzati per portare a termine gli omicidi e comprende anche i criteri di individuazione, cattura e uccisione della vittima. Il modus operandi varia con il tempo perché , con la pratica, l’assassino migliora la tecnica e riduce i rischi di essere identificato. È sempre presente negli omicidi seriali anche se è importante considerare che più assassini seriali possono avere lo stesso modus operandi. Ne consegue che esso risponde alla domanda “come” un crimine si è consumato.

– LA SIGNATURE: Chiamata anche “firma” è un elemento non necessario ai fini del delitto quindi non sempre presente, bensì comprende tutto ciò che deve mettere in atto l’assassino per raggiungere il proprio “appagamento”, cioè un soddisfacimento psicologico dell’assassino, ne consegue che è costante in ogni delitto e non varia negli anni; c’è da sottolineare che esso è un elemento piuttosto raro nella vita reale. La signature risponde alla domanda del “perché” il crimine è stato consumato.

– LO STAGING: Lo staging o in italiano “messa in scena” è l’ alterazione della scena del crimine da parte dell’assassino al fine di sviare le indagini. Il motivi di tale comportamento sono due: depistare le indagini è quella più plausibile, l’altra viene applicata soprattutto per i delitti sessuali che per errore portano alla morte del soggetto.

– L’UNDOING: Rappresenta la modificazione del luogo del delitto, ma questa volta è visto come un rimorso dell’assassino che si rende conto di ciò che ha fatto e allora può coprire il volto della vittima, spostarne il corpo o cercare di dargli dignità posizionandolo in modo diverso da come l’avrebbe dovuto trovare la polizia.

C’è però una caratteristica comune a tutti i serial killer ;la serialità, da cui il nome stesso deriva. Dopo l’omicidio si assiste ad una fase chiamata cooling off period nel quale l’assassino si sente emotivamente appagato anche nel solo ricordare l’atto omicidiario, rielaborando le emozioni vissute. Secondo alcuni autori come Wilson il serial killer entra in un cd. “circolo vizioso”, ovvero egli fantastica sull’omicidio poi mette in atto questa fantasia e prova un’intensa sensazione di potere così che, esaurito il periodo di raffreddamento emotivo, egli riprende ad uccidere.

  • La nascita dell’istinto omicida

Secondo Paolo De Pasquali Il fattore che sta alla base del comportamento omicidiario seriale è: la necromania cioè una perversione dell’istinto della vita che determina un interesse patologico per la morte, esperito mediante il dare la morte e il successivo contatto con il cadavere. Secondo la teoria di Marco Strano la nascita dell’istinto omicida nei serial killer attraversa 5 fasi:

  1. Fase della pulsione-motivazione omicidiaria; nasce nel soggetto l’idea della commissione dell’omicidio
  2. Fase della fantasia omicidiaria; il soggetto comincia a fantasticare sulla possibilità di commettere l’omicidio, in questa fase spesso l’impulso omicidiario si interrompe in quanto il soggetto giudica irrealizzabile il suo “piano”.
  3. Fase dell’anticipazione mentale degli effetti dell’azione omicidiaria; in tale fase il soggetto anticipa le possibili conseguenze dell’atton sia positive che negative, e comincia a vivere mentalmente l’ “atmosfera dell’omicidio”
  4. Fase della progettazione omicidiaria; il soggetto sceglie i metodi, i luoghi e gli stumenti adatti al fine delittuoso.
  5. Fase dell’esecuzione dell’omicidio; in cui il soggetto attua le sue fantasie, ovviamente questa è la fase di maggior carica emotiva del killer.
  •  Tipologie di serial killer

Prima di poter elencare le tipologie di assassino seriale dobbiamo specificare il criterio in base a cui catalogare; quindi prima di tutto dobbiamo fare una differenza tra la categorizzazione in base al modus operandi ed in base alla motivazione che spinge a diventare un serial killer. Riguardo le motivazioni la criminologia moderna ha individuato quattro categorie:

  •  MISSIONARIO: afferma di uccidere per motivi etico-morali come se la sua fosse una “missione”. Predilige vittime di una determinata categoria ad esempio omosessuali o prostitute, solitamente la categoria scelta è quella che ha, nella sua vita privata, avuto un forte impatto negativo, questa idea rafforza la convinzione di svolgere un bene per l’umanità, gli evita quindi di poter percepire alcun tipo di rimorso e andrà avanti finchè non sarà catturato. Un esempio emblematico è quello di Pedro Alfonso Lopez, venditore ambulante colombiano accusato di 310 omicidi. 100 bambine seviziate e strangolate in Colombia, altrettante in Perù, 110 in Ecuador, dove, colto sul fatto, fu arrestato. Lo strangolatore delle Ande si definiva un liberatore. “Le ho soppresse per liberarle dalle sofferenze che subivano nella vita terrena” ha riferito, calmo, durante una dettagliata confessione.
  •  EDONISTA: è colui che uccide per il puro piacere di farlo,esso può essere spinto da una componente sessuale, nel qual caso parleremo di “lust killer” per la quale esiste uno strettissimo legame tra il raggiungimento dell’orgasmo e la morte della vittima. A questo si accompagnano spesso altre parafilie post-mortem come il cannibalismo o la necrofilia dalla quale il serial killer non può prescindere e non può farne a meno. Un’ultima sottocategoria sono i “thrill killer” il cui piacere estremo è procurato dalla sfida verso le autorità ed il senso del pericolo.
  • VISIONARIO: è solitamente un individuo con gravi turbe psichiche, ad esempio la schizofrenia, che lo portano a soffrire di violente allucinazioni le quali possono essere sia visive che uditive in cui eglicrede di ricevere un messaggio divino, extraterrestre o comunque di un’entità suprema e superiore. La giustificazione che adduce alla sua condotta, è quella di un atto dovuto e di obbedienza, in funzione di un disegno superiore per il quale lui è stato scelto come tramite. Spesso si tratta di individui che hanno avuto un’educazione religiosa vigorosa e orientata al fanatismo.
  • -DOMINATORE: ha bisogno di sentire il controllo sulla propria vittima ed arriva ad ucciderla come sublimazione del controllo stesso, oppure perchè, essendo spesso un individuo socialmente inadeguato, non ha altro modo per poter controllarla e poterne disporre a suo piacimento. Spesso utilizza droghe o alcool per neutralizzare le resistenze. L’eventuale stupro, mutilazione e/o altri atti inflitti al cadavere hanno attinenza solo al totale controllo sulla vittima e all’idea di onnipotenza che ha di sè stesso. In questo caso, Jeffrey Dahmer, il tristemente famoso cannibale di Milwakee è un esempio tipico. Dahmer adescava giovani omosessuali, li portava prima a casa sua dove li teneva in uno stato di incoscienza per un periodo di tempo nel quale li torturava e seviziava per poi inevitabilmente ucciderli. Per ottenere un controllo totale sulle sue vittime era andato così in là da tentare assurdi esperimenti attraverso fori nel cranio per creare degli “zombi”, schiavi sessuali ai suoi comandi.

Per quanto concerne il modus operandi invece l’ F.B.I. ha suddiviso i serial killer in due categorie:

  • ORGANIZZATO: E’ un individuo sessualmente adeguato, di intelligenza media o superiore alla norma. E’ integrato nella società e svolge lavori che richiedono abilità. Spesso occupa un alto grado di genitura (quasi sempre primogenito) ed ha avuto un’educazione in cui la disciplina era pressoche inesistente. Possiede un mezzo di trasporto in buone condizioni e, solitamente, vive con il partner. Pianifica l’aggressione, fa uso di alcool o droghe e mantiene un controllo delle emozioni durante l’atto criminoso. Esige una vittima che sia sottomessa al suo volere, sulla quale compie atti violenti prima della morte. Si rivolge ad individui sconosciuti. Trasporta la vittima in un posto che gli dia tranquillità e tende a nasconderne il cadavere. Sicuramente seguirà l’evolversi delle indagini attraverso i media. Non lascia armi o tracce sul luogo del rinvenimento del cadavere
  • DISOGRANIZZATO: Sessualmente inadeguato e di intelligenza inferiore alla norma. Quasi sempre estromesso dal contesto sociale, svolge lavori preferibilmente manuali o ripetitivi, che non richiedono specializzazione o abilità. Conosce la vittima e preferisce depersonalizzarla dopo la morte (ad esempio coprendole il volto) senza preoccuparsi di nasconderne il cadavere. Durante l’aggressione perde il controllo delle emozioni, lasciando tracce o prove sulla scena. Compie spesso atti sessuali sulla vittima solo dopo la morte di quest’utlima. Vive solo e quasi sempre vicino alla scena del crimine.

Esistono però altre piccole categorie nel quale possono identificarsi molti serial killer ad esempio gli “angeli della morte”, generalmente killer di sesso femminile che lavorano in campo medico e affetti da disturbo borderline, nella maggior parte dei casi uccidono con sostanze letali ai pazienti di cui si prendono cura, solitamente bambini anziani ed invalidi. La motivazione degli angeli della morte è la liberazione dalle sofferenze dei propri pazienti anche se, spesso questi ultimi al momento del delitto non erano in condizioni gravi. Esempi possibili sono Sonia Caleffi o Harold Shipman. Passiamo poi alla categoria dei “killer professionisti”, come i sicari, questi però non possono essere considerati dei veri serial killer perché non commettono omicidi per appagamento emotivo o psicologico ma bensì per compenso monetario. Ultima categoria è quella delle “vedove nere”; generalmente donne che agiscono in modo simile al ragno che ha ispirato la loro denominazione: sposano uomini ricchi e, dopo essersi appropriate delle loro proprietà, li uccidono, solitamente avvelenandoli o simulando degli incidenti domestici; possibili esempi sono Mary Ann Cotton e Belle Gunnes.

C’è da aggiungere però che queste categorie non sono fisse, nel senso che esistono serial killer che presentano caratteristiche di due o più categorie, quindi possono essere assegnati ad entrambe. Le stesse considerazioni valgono nel caso di quei serial killers il cui movente varia da un delitto all’altro, e di quelli che non hanno un tipo di vittima preferito e nonostante essi sembrano spinti a uccidere da un “bisogno interno” in realtà provano una compulsione omicida tale, che si impone sopra qualsiasi altra considerazione razionale.

Quali sono le caratteristiche e le influenze che incorrono nella vita di un soggetto fino renderlo un serial killer?

– MODELLI MOTIVAZIONALI; IL modello motivazionale di Douglas, Ressler e Burgess) si compone di cinque elementi:

  • L’ambiente sociale: Gli studiosi delle relazioni familiari sostengono che le interazioni fra la famiglia e l’individuo sono elementi fondamentali per la crescita e la formazione di un’immagina positiva di sé. Per un bambino in crescita il genere di attaccamento alla famiglia si tradurrà in uno schema generale di come comprenderà e categorizzerà le cose al di fuori della famiglia stessa e influirà in modo decisivo sul suo grado di adeguamento sociale. Molto spesso gli adulti non sono efficaci nell’imporre una corretta disciplina accompagnata da adeguate spiegazioni sulle norme di comportamento. Spesso i genitori non reagiscono a particolari atti devianti dei figli e assumono un atteggiamento indifferente; questo può portare nell’adolescente alla convinzione di non essere in realtà colpevole di niente. Non solo gli adulti non sono in grado di fornire delle linee guida per il fanciullo ma spesso impongono indiscriminatamente ai figli aspettative e valori adulti, con il risultato di scoraggiare i ragazzi da qualsiasi interazione con gli altri facendoli sentire incapaci ed emarginati. Da questa emarginazione e repressione nasce il rifugio nel mondo delle fantasie.
  • Eventi formativi: Ci sono tre fattori principali che influiscono sulla formazione. Il primo è il trauma, in forma di abuso fisico, psicologico o sessuale. Questi eventi possono essere traumi diretti come violenze subite in prima persona o traumi indiretti, come assistere a scene disturbanti. L’ambiente non reagisce in nessun modo ai traumi del soggetto, favorendone l’isolamento e non premettendogli nessun tipo di recupero. Un secondo assunto è che queste esperienze moleste influenzano il modo in cui il soggetto si relaziona con altri. Spesso il risultato è che il ricordo e la fissazione del trauma provoca una iper o una ipo sensibilità e quindi un eccessivamente alto o eccessivamente basso livello di eccitazione, nervosa ed emotiva. Se questi livelli sono alterati, le relazioni interpersonali ne risentiranno perché il soggetto avrà reazioni anormali e ricercherà stimoli continui e anomali. Il fallimento delle relazioni interpersonali, il nostro terzo elemento, rappresenta l’inefficienza da parte dei genitori di fornire un modello di comportamento socialmente adeguato. Il padre o la madre possono essere alcolizzati, oppure il bambino può essere testimone di episodi in famiglia in cui la violenza e gli elementi erotici sono strettamente legati. Vale, qui più che mai, il classico principio dell’educazione che vedere un padre che esercita la violenza con successo in famiglia può insegnare al bambino l’insana lezione che la violenza funziona, all’interno del microcosmo della famiglia come nel macrocosmo della società.
  • Risposte agli eventi: le risposte agli eventi sono divisibili in due grandi categorie; i tratti critici della personalità e le funzioni e i processi cognitivi. Nello sviluppo sano del bambino sono fondamentali i tratti personali positivi come fiducia, sicurezza e autonomia aiutano a stabilire le relazioni dell’individuo con gli altri. Tutto ciò, combinato con un ambiente sano e positivo, aiutano il bambino a sviluppare competenza sociale e fiducia in se stesso e negli altri. Nel serial killer c’è invece una propensione allo sviluppo di tratti di personalità negativi che interferiscono con la formazione di relazioni sociali e con lo sviluppo di emozioni e risposte emotive nei confronti dell’ambiente sociale; egli basa il suo sviluppo emotivo sulle proprie fantasie e sui loro temi dominanti emergono quindi: un senso di isolamento sociale, una preferenza per le attività autoerotiche, una forte tendenza alla ribellione, aggressività e un senso di essere privilegiati e di sentirsi autorizzati a fare qualsiasi cosa. Le conseguenze di questo stato sono una general, con conseguente sfiducia nelle relazioni umane e rabbia verso la società che li rifiuta. Il cronico mentire dell’assassino riflette una mancanza di fiducia e di possibilità di scambio reciproco con gli altri ; al contrario egli sviluppa invece un senso di autorizzazione implicita a fare tutto quello che vuole come conseguenza della rabbia e dello spostamento della colpa sulla società. Riguardo i processi cognitivi, con questi termini facciamo riferimento a quell’insieme di schemi cognitivi che servono per il controllo e lo sviluppo della vita interiore e che poi legano l’ individuo al contesto sociale. Questo schema è diretto a preservare uno stato interno di tranquillità e di calma attraverso la riduzione dell’ansia, del terrore e, molto importante, della sensazione di impotenza. Le funzioni cognitive sostenute dal contesto sociale e le interazioni con esso. Quando il contesto sociale è critico e le interazioni traumatiche, le funzioni cognitive si orientano a sostenere l’individuo e si organizzano in schemi fissi di pensiero e di comportamento. Quindi nei futuri serial killers si sviluppano unicamente funzioni negative, volte cioè a riparare i traumi ed equilibrare gli stati emotivi sempre e comunque in risposta a una serie di eventi e di convinzioni che si autoalimentano. È specificamente in questo momento che i temi di controllo e di dominio sugli altri prendono il sopravvento sulla vita interiore dei soggetti. Il pensiero tende così a ragionare per assiomi e senso comune perdendo la capacità di giudicare momentaneamente e continua ad essere legato a quegli schemi fissi su cosa le persone pensano di lui. In questo modo i livelli di attivazione emotiva e di eccitazione dei soggetti finiscono per concentrarsi unicamente intorno agli schemi fissi quindi monotona e statica e da qui nasce la ricerca di stimoli forti.
  • Le azioni verso gli altri: I bambini in condizioni sane cambiano e adattano il loro pensiero ogni giorno per conseguenza delle sfide e degli stimoli che il mondo propone loro, sviluppano quindi una flessibilità che nel bambino potenziale serial killer non esiste; egli infatti prova unicamente esperienze verso l’illegalità e la crudeltà verso gli animali che agli altri passano inosservate e impunite o perlomeno il bambino è in grado di rifugiarsi nel suo mondo interiore per rendersi comunque conto che le sue azioni non sono sbagliate e che aveva il diritto di fare le cose che ha fatto; questo isolamento porta solo ad auto-confermare il carattere non nocivo delle sue azioni. Per conseguenza le azioni violente verso il mondo, orientate a provare le stesse sensazioni di dominio e di controllo che caratterizzano il mondo interiore del soggetto, diventano sempre più crude e senza rimorso. Si passa dalla crudeltà sugli animali e la piromania nella prima infanzia, alle violenze sui compagni e ai conflitti con gli adulti nell’adolescenza, ai crimini veri e propri subito dopo, furti, aggressioni, stupri, omicidi.
  • Il feedback mentale dell’assassino:  l’assassino risponde alle sue azioni con una serie di considerazioni mentali che a loro volta influenzano le sue azioni future. Si è potuto notare infatti che le azioni dei serial killers subiscono dei cambiamenti così come le loro fantasie e il loro modo di porsi verso la società, il crimine e le altre persone. Ovvero man mano che commettono crimini la loro psiche e le loro fantasie vengono alimentate dalle nuove conoscenze ed emozioni creando sempre più giustificazioni alle azioni delittuose. Alcune fantasie diventano tali da ricreare mentalmente e concretamente una sfida verso le autorità come se fosse un macabro gioco, e queste eccitazioni e sensazioni di forza e dominio rispetto alla polizia alimentano la dimostrazione della loro superiorità.

– MODELLO DIATHESIS-STRESS : postulato per la prima volta da Gottesman e Shield nel 1982 e poi rivisitato da Hans e Marcus nel 1987 secondo cui “la combinazione di un ambiente traumatico e di una naturale predisposizione genetica a risposte condizionate generano conflitti a livello di concetto e di stima di sé”. Ovviamente tutto ciò è aggravato dalla natura sessuale dei traumi e dalle risposte ad essi. In pratica nel serial killer avviene una dissociazione tra le fantasie interne e la vita reale, la sua personalità si sdoppia e arriva a far prevalere la parte violenta, egli arriva a capire qual è la sua ossessione e come placare questo bisogno o meglio come soddisfare il bisogno, ormai è entrato in un circolo vizioso sempre più esigente. Proprio per questo molti non reggono alle auto-pressioni e commettono errori fatali che li porteranno alla cattura. Ad esempio Ted Bundy, inesorabile nello sparire nel nulla, verso la fine della “carriera” commette una stupidaggine dietro l’altra in preda a una vera e propria frenesia oppure Jeffrey Dahmer viene alla fine arrestato in preda a uno stupore quasi ipnotico, la sua psiche è così satura e distorta dalle dissociazioni che non è più in grado di orientarsi.

– MODELLI MINORI: Alcuni modelli si sono soffermati sulla biologia e le basi innate dei possibili serial killer, alcune interpretazioni sostengono che le cause di questi fenomeni seriali siano da ricercare negli squilibri ormonali, in particolare del testosterone, in pratica l’eccesso di tale sostanza provocherebbe un forte impulso di uccidere. Ma si può sinceramente affermare che la maggior parte delle tesi innatiste sono state ampliamente confutate. Discorso a parte possiamo farlo riguardo agli studi genetici. Il primo appartiene al Massachussets General Hospital e concerne gli effetti di una anomalia genetica riscontrata in un gruppo di soggetti che metabolizzavano in modo anormale l’enzima monoamminico di oxidase, detto anche MAOA, una sostanza che influisce sulla gestione della dopamina, della serotonina e della noradrenalina, componenti che sappiamo influenzare il comportamento e i sentimenti di qualcuno in modo determinante. Un altro dibattito molto fiorente è quello intorno al cromosoma 47 XYY. Jacobs, Brunton e Melville iniziarono la prima ricerca su cromosomi maschili XYY scoprendo questo cromosoma aggiuntivo in una nutrita schiera di criminali accusati di criminali violenti. Money (1970) sottolinea come bambini con XYY fossero dotati di personalità enigmatica, soffrissero di significativo isolamento e tendessero a essere tremendamente irascibili e violenti nelle loro rare manifestazioni verso gli altri. Sembra che questo cromosoma in eccesso aumentasse il valore di un metabolita, chiamato “Urine kryptopyrrole”, endogeno che negli esseri umani “normali” è presente in dosi microscopiche. Le ricerche che associano questo fattore con i comportamenti aggressivi e tipici degli assassini seriali sono molte, fra le tante, anche quella di Krauss che afferma con sicurezza che alti livelli di Urine kryptopyrrole portano a comportamenti fortemente impulsivi, perdita del controllo e bassa tolleranza dello stress. Sono famose le sue ricerche nel caso di Arthur Shawcross, assassino che terrorizzò la città di Rochester, nello stato di New York, uccidendo undici persone in due anni. Shawcross presentava altissimi livelli di Urine kryptopyrrole e, nonostante il fatto che la sua vita sia una storia di alti e bassi fra lavoro, guerra e matrimonio, gli schemi di violenza brutale sono stati presenti nella sua vita fin da quando il soggetto stesso può ricordare.