Criminologia e Psicologia Giuridica

La testimonianza di un soggetto con infermità mentale.

L’incidenza del disturbo di mente sulla testimonianza è un tema tanto poco valutato quanto scottante, soprattutto perché celato dietro alla personalità, nei sistemi relazionali e di rapporto con la realtà di colui che viene assunto come testimone. Il disagio psichico, in genere, la patologia di rilievo psicologico e psichiatrico, ed in particolare l’attendibilità intrinseca di colui che è esaminato, costituiscono, infatti, parti necessarie nelle valutazioni del giudice e delle parti sulla credibilità del teste. La testimonianza è uno degli itinerari per garantire a chi giudica un risultato ragionevole di verità ricostruita. E’, quindi, ovvio che lo stato di mente del testimone costituisca il prerequisito di base per conseguire un risultato spendibile in termini di affidabilità teorica e credibilità pratica.

L’interrogativo che, da sempre, ci si è posti è se il soggetto mentalmente disturbato, a prescindere dalla qualità della sindrome e dai gradi di invalidazione psico-fisica che essa comporta, possa essere esaminato come testimone di un fatto o di una circostanza di rilievo penale ed, in caso di risposta affermativa, in che modo debba essere valutata la sua testimonianza nel quadro generale delle prove sulla responsabilità o meno di chi è accusato.

Ogni persona e, pertanto, anche un infermo di mente, in quanto dotati di capacità di testimoniare[1], possono essere ritenuti idonei ad assumere tale funzione. La presenza di una condizione psicopatologica infatti, di per sé, non impedisce al teste di dire il vero e, dunque, non può da sola rendere la testimonianza inattendibile. Spetta comunque in ogni caso al giudice sanzionare la credibilità di un testimone nei cui confronti può disporre una perizia psichiatrica, “purché sia indispensabile che sussistano gravi e fondati indizi che la rendano necessarie”, finalizzata a valutare l’idoneità mentale a rendere testimonianza e ciò ai fini sia dell’accertamento della verità processuale, sia della valutazione della credibilità clinica del testimone. Sebbene l’accertamento della verità processuale sia compito di esclusiva pertinenza del magistrato, la valutazione della credibilità clinica non può che essere frutto di un’indagine psicologico-psichiatrica, che il magistrato o il difensore possono utilizzare per raggiungere i propri fini. Il ricorso allo strumento peritale ha quindi come unico scopo quello di stabilire se le dichiarazioni, le confessioni, le ammissioni, le accuse di un dato soggetto sono o meno attendibili o credibili. Tale attendibilità si verifica quando un soggetto interrogato può offrire una versione dei fatti obiettiva, concreta, precisa, realistica al punto tale che il magistrato può tenerne conto per accertare o escludere determinate responsabilità, e per ricostruire l’esatto svolgimento dei fatti.  Altro compito del perito sarà quello di verificare se la causa morbosa presente nel soggetto sia o meno in grado di incidere sulla sua attendibilità come teste[2], ossia se le dichiarazioni di tale soggetto siano o meno espressione di un funzionamento mentale alterato da patologia psichiatrica[3]. Occorrerà, dunque, verificare, sempre e comunque, caso per caso, il tipo di infermità presente, il grado del processo psicotico o deficitario, il tipo di rapporto con la realtà, l’eventuale esistenza di correlazioni psicologiche fra i nuclei morbosi e le circostanze sulle quali il teste è chiamato a deporre. In particolare, potrà essere facilmente sostenuta la non attendibilità del teste nei casi di deliri (laddove le circostanze su cui deve essere sentito il teste abbiano con esso un rapporto diretto), di totale disgregazione dell’Io, nonché di importanti deficit intellettivi di tipo oligofrenico o demenziali.

 Il divieto della perizia sul carattere, sulla personalità e sulle qualità psichiche (indipendenti da cause patologiche) affermato dall’art. 220, comma 2 c.p.p., con riguardo alla persona dell’imputato, non opera, dunque, rispetto al testimone. L’imputato deve essere giudicato per i fatti commessi, coscientemente e volontariamente, e non per le sue condizioni e per i suoi atteggiamenti psicologici; il giudice dovrà, infatti, tener conto della presenza di patologie della mente al fine di valutarne l’imputabilità. Nel caso della testimonianza, invece, proprio perché essa può essere assunta da sola come fonte di prova dei fatti oggetto dell’imputazione, diviene indispensabile un attento controllo sulla credibilità di chi l’ha resa, che può spingersi sino alla verifica dell’idoneità mentale di chi depone come teste, deve ritenersi ammissibile una indagine ampia sulla sua personalità. In tali casi, l’accertamento sarà volto ad accertare la presenza di disturbi strutturali o emotivi della personalità che abbiano negativamente interferito sulla fissazione dell’evento ed incidano sulla rievocazione dello stesso, rendendo così il soggetto inidoneo a rendere la testimonianza[4].

Un problema di notevole importanza che incide sulla valutazione della testimonianza è quello connesso ad alcuni quadri clinici dove il rapporto tra malattia e simulazione è molto complesso. Ciò comporta un lavoro di indagine da portare avanti in modo parallelo da psichiatri e magistrati per discriminare tra verità e bugie. In alcune persone, poi, vi è l’impossibilità a distinguere chiaramente quanto appartenga alla realtà da quanto sia frutto di fantasia o di bisogni inconsci inappagati, quanto concretamente accaduto da quanto inconsciamente desiderato o temuto. In loro, la distorsione della realtà inizia, forse, con un certo grado di consapevolezza per poi permanere per impossibilità ed incapacità del soggetto di ritirarsi dalla condizione creata.

La verità totale è comunque inafferrabile e inquinata da molteplici fattori, infatti la testimonianza è sempre risultato di un’elaborazione di percezioni fatti o subiti o visti o sentiti raccontare ed è tantomeno precisa quanto più lontano è il ricordo. La rievocazione di ricordi infatti subisce inevitabilmente influenze affettive e culturali ed ambientali le quali, allora volta, assumono un loro pertinente significato solo se rapportata al contesto del singolo individuo e alla struttura di personalità, normale o patologica che sia.

E’ oramai noto che la testimonianza è una conseguenza diretta della fissazione al momento del fatto e dell’evocazione dei ricordi, almeno nell’immediatezza o a breve distanza dal fatto. Con il trascorrere del tempo questi possono essere disturbati e deformati dalla suggestione di origine esterna, dalla carica affettiva che accompagna particolari interessi e dalla continua interferenza dell’immaginario del soggetto. Per tali motivi diminuisce la fedeltà dal punto di vista qualitativo della testimonianza, visto che il passato viene continuamente rimodellato in base alle emozioni del momento. In poche parole ogni persona può inconsciamente modificare il passato a scopo difensivo offensivo o sostituire ricordi con altri ricordi[5].

Si deve distinguere, ai fini peritali, la pseudo menzogna ovvero la fisiologica inconsapevole non strumentale e la non finalizzata tendenza confondere la fantasia con la realtà, dalla menzogna, ossia una reale manifestazione cosciente e utilitaristica di un pensiero, di un fatto non consapevole, ma che sostiene con perseveranza, nelle liberato progetto di falsare la realtà. Così come si deve distinguere la bugia psicogena, ovvero il non dire il vero per paura di castigo, per proteggersi, per vendetta o per attirare l’attenzione altrui per compensare sentimenti di inferiorità; dalla bugia patologica sottesa da stati di ritardo o insufficienza intellettiva, da sindrome psicotica o da alterazioni strutturali della personalità.

La bugia patologica può estrinsecarsi come:

  • Bugia del debole di mente: povera e poco verosimile, spesso mutevole, senza ragione alcuna, cocciutamente sostenuta contro ogni smentita ad esame di realtà.
  • Bugia psicotica: che si trova in fase di eccitamento, depressione endogena, nella schizofrenia, nelle psicosi organiche e deliranti.
  • Bugia di soggetti con strutture abnorme di personalità in cui la menzogna può essere improvvisata, scatenata anche da momenti di minima portate rilevanza impulsiva, molto variabile nei suoi contenuti, usata come arma di difesa e di offesa per il desiderio di danneggiare l’altro di fare male.
  •  Mitomania: che consiste in una tendenza sistematica alla menzogna, alla simulazione all’invenzione di fatti ed eventi in cui l’immaginario e stupefacente sono al servizio del bisogno di attrarre a sé l’attenzione e di eludere la realtà. Si osserva soprattutto negli isterici e mi deboli di mente e può avere agganci con disturbi psicopatologici, tuttavia può registrarsi anche in personalità del tutto normali, il suo valore di malattia ai fini dell’imputabilità se non si integra in un delirio o in qualche altro quadro psicopatologico è nullo, assume invece rilevanza determinante nell’invalidare una testimonianza, un’accusa e un interrogatorio.[6]

La competenza del soggetto testimone consiste nel insieme delle capacità cognitive, emotive e sociali possedute. Tuttavia, come disposto dal nostro ordinamento, la menomazione delle capacità volitive ed intellettive non è in conflitto con la capacità di percepire la violenza alla propria persona e di riferirle in modo veritiero.

Secondo Weisseman, i criteri per la valutazione della competenza sono:

  • Capacità di percepire accuratamente i fatti: ovvero la capacità mentale al momento del fatto di osservare e ricevere impressioni accurate dei fatti.
  • Capacità di rammentare e richiamare: memoria sufficiente per ritenere un ricordo indipendente da ciò che si è osservato.
  • Capacità di comprendere il giuramento: ovvero la capacità di differenziare la verità dalla menzogna.
  • Capacità di comunicare basato su una conoscenza personale dei fatti: ovvero la capacità di comunicare il ricordo e di comprendere domande semplici circa l’accaduto.

L’idoneità a testimoniare deve essere valutata basandosi su:

  • Competenze cognitive del soggetto
  •  Comprensione del linguaggio
  •  Memoria autobiografica
  •  Self monitoring: ovvero la capacità di distinguere asserzioni assurde e non plausibili.
  • Suggestionabilità: ovvero la tendenza a cedere alle domande e alle formazioni suggestiva da parte dell’intervistatore.
  •  Funzione riflessiva o teoria della mente: corrispondente alla capacità di attribuire un significato alle intenzioni e ai comportamenti dell’altro[7].

[1] Articolo n° 196 del Codice di Procedura Penale.

[2] Ponti, Tutela della vittima e mediazione penale, Giuffrè Editore, Milano, 1995, 47.

[3] Fornari, Denaro sporco, Laterza Editore, Roma, 2001, 164.

[4]  Fornari, Criminalità del Profitto, CEDAM, Padova, 1997, 325.

[5] Mazzoni G. D, Si può credere ad un testimone? Bologna, Il Mulino, 2003.

[6] Fornari U., Trattato di psichiatria forense, ed 3, Torino, 2004, UTET.

[7] Weisseman HN., Forensic psychlogical examination of the child wityness in cases of alleged sexual abuse, Amer J Orthopsychiat 61, January 1991.

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