Ogni persona ha capacità di testimoniare, come prevede positivamente l’art.196 c.p.p., ciò sta a significare che qualsiasi persona, possiede la capacità di testimoniare, comprendendo nel novero tutti i soggetti idonei alla testimonianza, persino l’infermo di mente, il minorenne, ed il minore di anni quattordici, seppur in questi 3 casi giudice dovrà valutare con particolare attenzione la credibilità del dichiarante e l’attendibilità delle dichiarazioni. E’ quindi compito del giudice verificare di volta in volta, caso per caso, l’idoneità fisica o mentale del soggetto chiamato a deporre, ordinando a tal scopo, gli “accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge” (art. 196, comma 2, c.p.p.). Già il Codice penale austriaco[1], stabiliva che alla deposizione dei testi stessi si attribuiva valore di prova legale, soltanto se in essa concorrevano una serie di requisiti idonei a comprovarne l’attendibilità e credibilità. Sempre nel XIX secolo, Mittermayer, nella Teoria della prova nel processo penale, sosteneva che, laddove si esamini con attenzione la prova testimoniale[2], si scopre che essa non è altro che una serie di tre presunzioni:
a) Che il testimone abbia potuto esattamente percepire la verità;
b) Che l’abbia ritenuta fedelmente;
c) Che abbia voluto manifestarla pura ed intera.
I problemi connessi ad ogni generica testimonianza, quali la libertà del parlante, il divieto di domande suggestive, l’originalità e verosimiglianza del narrato, la sua corrispondenza con altri dati del processo, la perseveranza delle dichiarazioni e la loro coerenza, si complicano tutte le volte in cui il teste da esaminare è persona afflitta da turbe o disagi psichici. L’art. 196 comma 2 c.p.p., con riferimento alla idoneità fisica e mentale a rendere testimonianza, prevede per il giudice la mera facoltà di disporre gli accertamenti opportuni con mezzi consentiti dalla legge. Tra i mezzi tipici di accertamento della “idoneità psico-fisica a rendere testimonianza” va necessariamente ricompresa la perizia, la quale, peraltro, deve essere rigorosamente limitata alla verifica, nel teste minore o adulto, del livello di sviluppo in concreto raggiunto e rilevabile di capacità percettiva e sensoriale, assenze di turbe organiche ed il livello di capacità critica e di giudizio, nonché di rievocazione mnestica.
La perizia sull’idoneità a rendere la testimonianza è un settore dove l’indagine può, talora, essere specificamente psichiatrica, ma dove, spesso, l’ambito valutativo può, in altri casi, divenire di sola lettura psicologica, ovvero congiuntamente psicologica e psichiatrica. Preliminarmente, occorre precisare che attraverso questo tipo di perizia, non è chiesto al perito di accertare se il teste abbia detto il vero o il falso, posto che spetta al Giudice e solamente a lui, di verificarne l’attendibilità. Occorre, a tal proposito, operare una distinzione tra l’accertamento della verità processuale, compito di esclusiva spettanza del Giudice, dall’accertamento della verità clinica, che spetta, invece, al perito. Al perito, è, dunque, affidata un’indagine tecnico-scientifica volta ad accertare la presenza in un dato testimone, di una patologia psichiatrica o di altri disturbi psichici (della sfera cognitiva e/o affettiva-relazionale) che lo possano rendere genericamente non attendibile. Con specifico riferimento alle situazioni che possono essere oggetto di perizia, si suole individuare due tipologie di evenienze:
1. Testimonianza di persona affetta da infermità;
2. Testimonianza del minore.
[1] Codice dei delitti di Federico II Imperatore D’austria, G. T. Trattner Ed., Vienna 1803, 36.
[2] Mittermayer, Teoria della prova nel processo penale, cap. XV, Giuffrè Editore, Milano, 1858, 168.