Criminologia e Psicologia Giuridica

La testimonianza di un minore

Da circa un decennio, si fa strada l’idea che, partendo dalla considerazione secondo cui i risultati di una testimonianza dipendono anche dalle modalità di ascolto del teste, il sistema normativo debba includere e tutelare dei veri e propri “statuti speciali” per alcune particolari categorie di fonti testimoniali. La più importante di esse è, senz’altro, rappresentata dal testimone minorenne, le cui modalità di ascolto vanno calibrate, non solo in vista di una loro migliore “efficienza” da un punto di vista metodico, ma anche in considerazione della necessità di tutela della personalità del soggetto. Se per debolezza s’intende una condizione, di regola non patologica, che designa sia la non compiuta maturazione delle capacità personali del soggetto, che l’insufficienza della sua prestazione di testimone nell’ambito di un processo, allora si comprende bene come quella del minore sia la testimonianza debole per eccellenza. Tuttavia, quest’affermazione necessita di alcune precisazioni. La minore età è comprensiva di un periodo che arriva sino al compimento degli anni 18 e, dunque, non si riferisce a tutte le fasi dell’evoluzione del testimone. L’età influisce sulla sua capacità cognitiva, sulle funzioni della percezione, della memoria e ragionamento, sulla sua capacità di comunicare mediante un linguaggio adeguato. Rilevante è, allo stesso modo, la sua maturazione affettiva, in particolar modo quando le dichiarazioni concernano fatti violenti connessi alle esperienze di vita familiare del soggetto. Il legislatore italiano ha sempre tenuto ben in considerazione la capacità del minorenne di essere titolare di diritti sostanziali e processuali, di compiere atti giuridici, di manifestare scelte e dichiarare fatti giuridicamente rilevanti, di rispondere penalmente e civilmente in relazione alle varie fasi dell’età evolutiva.

 La “vulnerabilità” del testimone riguarda sia la fragilità del soggetto che la debolezza della sua prestazione. Le particolari forme della testimonianza del minore sono, pertanto, previste nei procedimenti per reati di sfruttamento della prostituzione e prostituzione minorile, di pornografia e violenza sessuale in danno di minori e mirano essenzialmente a favorire la correttezza dello svolgimento dell’incidente probatorio e ad assicurare la genuinità delle dichiarazioni rese dal testimone minorenne e, solo indirettamente, a proteggerne la persona, ovvero, la prioritaria preoccupazione dovrebbe essere quella di non alterare, né disperdere il patrimonio cognitivo del soggetto, curando, allo stesso tempo, di arrecargli il minor pregiudizio possibile, si tratterebbe quindi di fornire la testimonianza del minore di uno statuto autonomo, ma non eccentrico rispetto al sistema, nel quale, anzi, esso andrebbe tutelato, affinché il contributo apportato dal minorenne possa godere di specifiche prescrizioni, senza, però, perdere la garanzia tipica della prova testimoniale.

Diverse possono essere le circostanze nelle quali, in sede giudiziaria, si procede all’ascolto e all’esami un soggetto minorenne:

  • L’interrogatorio formale: condotto da chi si autorizzato a farlo in ambito processuale;
  • L’interrogatorio non formale: attuabile anche al di fuori del processo senza avere la natura di un esame condotto da esperti;
  • L’assunzione di dichiarazione: condotta da un magistrato assistito o da un esperto onde accertare la volontà e l’interesse del minore in relazione alla vicenda che lo vede interessato:
  •  L’esame peritale: ovvero il colloquio con esperto incaricato dall’ufficio allo scopo di rispondere ai quesiti posti dal giudice;
  • L’esame non peritale ovvero il colloquio condotto da un esperto inserito in una delle agenzie alle quali il giudice può fare riferimento per accertare la natura di comportamenti tenuti dal minore stesso da altri soggetti a lui collegati.

In sede processuale, le dichiarazioni rese dal minore assumono il valore e il significato di una testimonianza. Mentre il testimone sopra i 14 anni é considerato capace di testimoniare, con assunzione di responsabilità per l’eventuale falsità riguardo, il soggetto infra-quattordicenne può essere assunto come testimone a condizione che possegga, secondo il giudice, la capacità di riferire i fatti di cui è a conoscenza, che capisca la complessità e la comprensione del dovere di dire la verità.

Ogni minore hai diritto di essere informato sulle circostanze relative ai procedimenti giudiziari e amministrativi in cui è coinvolto, tuttavia la questione assume un particolare rilievo se avviene all’interno di un procedimento penale in cui egli assume ruolo di vittima. In alcuni casi, specie con bambini in tenera età, le informazioni circa il ruolo o la presenza del giudice determinano il rischio di non venire compresi oppure ancor peggio intimorire il bambino-testimone, producendo due possibili reazioni: inibizione difensiva con risposte reticenti oppure la tendenza a compiacere le aspettative più o meno implicita da parte di un interlocutore percepito come particolarmente autorevole. Di fronte a un bambino in età prescolare risulta quindi superfluo o fuorviante fornire troppi dettagli circa l’esistenza di un contesto giudiziario, è preferibile fare riferimento soltanto alla necessità e al desiderio di conoscerlo, introducendo il tema specifico dell’intervista solo in un secondo momento. Con i ragazzi di età maggiore potrebbe essere utile utilizzare una preparazione alla natura e alle regole del sistema giudiziario ed in generale ai ruoli delle diverse figure professionali. Non bisogna mai dimenticare infatti il potenziale effetto stressante e traumatico legato al coinvolgimento di un procedimento giudiziario e la necessità di coniugare la raccolta di informazioni che aiutino a determinare la verità processuale con il rispetto per la serenità del minore, si devono quindi evitare i rischi dell’eventuale vittimizzazione secondaria.

E’ comunque ammissibile, e spesso auspicabile indagare nel corso del colloquio alcuni aspetti importanti:

  • La tendenza a produrre racconti di fantasia: riprendendo i dettagli più inverosimili e conducendo l’intervista in modo da scoraggiare l’immaginazione del bambino sino a mettere in rilievo le sue esagerazioni;
  • L’incoerenza di alcuni racconti del bambino: metterlo a confronto con le sue dichiarazioni più contraddittorie o improbabili richiamando la sua attenzione sulla loro incompatibilità con altri parti del suo racconto o con altre circostanze temporali spaziali;
  • La tendenza del bambino alla suggestionabilità: saggiando la compiacenza con cui asseconda determinate domande esplicitamente suggestive poste da chi lo sta intervistando oppure la sua resistenza ad esse, correggendo l’intervistatore.

In sintesi, tornando quindi ai compiti dell’esperto chiamato a valutare la capacità di testimoniare del minore, egli non può prescindere da alcuni fattori: studio clinico della personalità del minore; comprensione del funzionamento psicologico; qualità dell’esame di realtà; infine egli dovrà prestare particolarmente attenzione agli aspetti emotivi, affettivi e relazionali. Infatti, nel formulare un parere, l’esperto dovrà tener conto del livello maturativo acquisito dal minore in rapporto ad età e stadio di sviluppo psicologico. Primario obiettivo di ogni accertamento in tema di idoneità a rendere testimonianza deve essere quello di valutare l’attitudine del minore a comprendere le domande poste dall’esaminatore, ricordare gli eventi oggetto della testimonianza, esprimerli in forma verbale in relazione alla complessità dell’evento.

 L’accertamento invece deve comprendere:

  • L’esame della capacità cognitiva generale: capacità di comprendere il linguaggio verbale ovvero strutture grammaticali sintattiche, termini con differenze minime di significato, contenuti assurdi;
  •  Memoria autobiografica: particolare attenzione dovrà essere prestata ad eventuali costruzioni volte a colmare lacune mnesiche, è sempre opportuno infatti effettuare gli scontri con testimoni adulti;
  • Capacità, commisurata all’età, di discriminare realtà da fantasia, simile da non verosimile, assurdo da plausibile;
  • Capacità discriminatoria ed interpretativa di stati mentali propri o altrui ovvero la cosiddetta funzione riflessiva;
  •  Livello di suggestionabilità.

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