Criminologia e Psicologia Giuridica

La perizia psicologica

Il giudice ha facoltà di disporre l’esecuzione di carattere peritale quando ritiene necessario acquisire valutazioni su cognizioni tecniche riguardanti specifiche scienze o arti, le quali in alcuni casi costituiscono prova ai fini peritali. Ugualmente gli avvocati delle parti, la Procura della Repubblica in una fase del procedimento a anche preliminarmente allo stesso possono richiedere ad esperti un parere peritale.

Solo quando l’incarico commissionato dal giudice la consulenza prende il nome di perizia ed il consulente assume la qualifica di perito. Così come sancito dall’articolo 220 del c.p.p. la perizia, ricondotta all’alveo dei mezzi di prova, “è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche[1]; tali situazioni si configurano quale presupposto di ammissibilità della prova peritale. Continua “Salvo quanto previsto ai fini dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche[2]; ovvero non è possibile ricorrere ad un’indagine peritale riguardante le qualità psichiche dell’imputato indipendenti da cause patologiche.

La perizia in ambito penale può essere svolta nei confronti di diversi soggetti: nei confronti dell’autore del reato imputato per accettarne l’imputabilità, la pericolosità sociale, l’infermità di mente è sopraggiunta, gli arresti domiciliari, libertà provvisoria; oppure nei confronti dell’autore condannato per stabilire l’infermità psichica eventualmente sopraggiunta, la pericolosità sociale, la detenzione domiciliare; oppure ancora nei confronti dell’autore internato per stabilirne l’infermità psichica sopraggiunta, la pericolosità sociale, il riesame del giudizio di pericolosità. La perizia può essere disposta anche nei confronti della vittima di reato sessuale, per stabilire la malattia di mente, inferiorità psichica o l’inferiorità fisica; nei casi di maltrattamenti ed abusi, nel reato di circonvenzione di incapace per stabilire l’infermità e vulnerabilità psichica. Infine la perizia può essere disposta nei confronti del testimone al fine di valutare l’attendibilità della testimonianza; o nei confronti del minore per stabilire l’imputabilità, la pericolosità sociale e l’abilità testimoniare.[3]

La perizia viene disposta dal giudice con ordinanza motivata, contenente la nomina del perito, la sommaria enunciazione dell’oggetto dell’indagine e l’indicazione del giorno dell’ora e del luogo fissati per la comparizione del perito, e dei rispettivi consulenti delle parti.

 Ai sensi dell’articolo 221 del codice di procedura penale il perito viene scelto tra gli iscritti negli appositi albi. In merito, è necessario puntualizzare, che il perito ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, salvo che ricorra uno dei motivi di astensione contemplati nell’articolo 36 del c.p.p., relativo alle situazioni che configura l’obbligo di astensione del giudice. Per quanto attiene il numero dei periti l’articolo 221 del c.p.p., prevede che il giudice possa affidare l’espletamento della perizia a più persone, quando le indagini e le valutazioni risultino di notevole complessità e che richiedono distinte conoscenze in differenti discipline, esprimendo un’esigenza di collegialità e multidisciplinarietà.

Una volta che il giudice ha formulato i quesiti, premesso che rientrino gli ambiti di competenza dell’esperto e che siano posti in maniera non ambigua, e assegnato i termini per l’espletamento dell’incarico, è opportuno che il perito si faccia formalmente autorizzare al compimento di tutte le attività utili e necessarie allo svolgimento delle attività peritali, o di servirsi di ausiliari di sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali. I quesiti sono come la linea guida del lavoro peritale, le operazioni peritali, infatti, sono finalizzate a rispondere alle richieste del giudice, in maniera diretta e specifica, senza elementi dubitativi o probabilistici, anche se è previsto che il perito risponda di non essere in grado di esprimere un parere motivato.

Al pari delle attività del perito, per potersi svolgere nel principio del contraddittorio esiste la figura del consulente tecnico di parte, ovvero un esperto chiamato dalle parti per partecipare alle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve. I consulenti tecnici di parte rispetto al perito sono soggetti ad alcune limitazioni, ovvero possono partecipare alle operazioni peritali ma non condurle e non possono fare richieste o osservazioni al giudice una volta verbalizzato l’incarico. Il CTP può depositare un proprio elaborato scritto contenente le deduzioni e le eventuali critiche desunte dagli accertamenti svolti, sotto forma di nota preliminare, da consegnare al perito prima delle conclusioni peritali o come nota di replica all’elaborato peritale.

Il CTP ha una specifica funzione di controllo sulla correttezza metodologica, scientifica e procedurale del lavoro del perito, diretta a garantire l’adempimento dell’interesse della parte in causa, in modo non molto dissimile dall’avvocato. Risulta essenziale documentare in modo trasparente la partecipazione dei CTP alle sedute peritali, le richieste avanzate in corso di perizia, la regolarità delle loro convocazioni, le contestazioni poste in corso d’opera, le note preliminari di CTP ed altro. Se è difficile che una perizia possa essere annullata per carenze diagnostiche e valutative, è invece assai probabile che si registri un annullamento per vizio di forma, spesso attinente proprio alla violazione del contraddittorio, cioè alla paritetica comunicazione, informazione e valutazione riservata al contributo dei consulenti di parte.

Tornando allo svolgimento della perizia, entro il termine prefissato il perito deve terminare le operazioni peritali e consegnare al giudice la perizia contenente le risposte ai quesiti posti. Quando risultano necessari accertamenti di particolare complessità, il termine può essere prorogato dal giudice, su richiesta motivata del perito, anche più volte per periodi non superiori a 30 giorni, stabilendo in ogni caso che il termine per la risposta ai quesiti, anche se prorogato, non possa superare i sei mesi, come sancito dall’articolo 227 del c.p.p.

Nel caso di perizia disposta nel corso del dibattimento, il perito deve comparire in udienza e esporre il suo parere. In questo caso la funzione della relazione scritta è piuttosto quella di rappresentare un memorandum per il giudice e per il perito, il quale durante la propria deposizione potrà consultarla e richiamarne le conclusioni. Nella prassi, qualche giorno prima dell’udienza, il perito deposita in cancelleria una relazione scritta, che potrà essere acquisita agli atti del processo solo al termine dell’esame del perito.

Con estrema sintesi i passaggi per effettuare una perizia sono i seguenti

  1. Sintesi Degli Atti: studio della storia ed anamnesi giudiziaria e clinica attenta e dettagliata.
  2. Colloqui: una serie di colloqui con l’individuo oggetto della perizia, o con tutte le persone in grado di regalare al periziando un quadro esaustivo del soggetto e dei fatti in essere.
  3. Indagini strumentali e utilizzo di test psicodiagnostici.
  4. Acquisizione dei pareri preliminari dei CTP e discussione critica degli stessi.
  5. Stesura dell’elaborato.

Ogni elaborato peritale deve rispondere al carattere distintivo di essere una relazione di carattere specialistico, chiara e trasparente, facilmente comprensibile per i suoi destinatari, ovvero per giudici e avvocati, alieni dalla conoscenza della terminologia medica e, ancor di più, di quella psicologica. La relazione peritale non può tacere informazioni che siano giunte alla conoscenza del perito e deve riferire in modo logico e compiuto le risultanze degli accertamenti che sono stati esperiti, esprimendo pertanto non solo la valutazione raggiunta, ma anche il ragionamento che è stato seguito per giungere alla stessa. Ogni relazione deve infatti rispondere al criterio della verificabilità, essendo possibile che il giudice o le parti, ripercorrendo i dati fedelmente espressi dal perito, considerino gli stessi dati come validi, ma giungano a conclusioni valutative differenti[4]. La verifica dell’elaborato peritale da parte del giudice e degli avvocati è abituale e indispensabile, poiché il giudice è libero di condividere o meno la valutazione del perito, o di annullare la stessa, qualora rilevi nell’opera del professionista rilevanti carenze metodologiche, scientifiche o procedurali. Dato che almeno una delle parti processuali contrapposte sarà non soddisfatta dall’esito dell’accertamento, la stessa avrà il diritto di esprimere ogni possibile critica verso la relazione peritale; per il principio del corretto contraddittorio, il perito ha quindi il dovere di esporre anche i dati potenzialmente incoerenti rispetto alla valutazione resa, in modo da consentire ogni valutazione ai fruitori dell’elaborato.

Ogni elaborato risponde pertanto a una strutturazione di massima che corrisponde sia allo sviluppo del quesito peritale, sia a un modello di relazione che ha dimostrato nei decenni di essere il più utile per descrivere in modo sistematico e senza sovrapposizioni i dati del caso, differenziando al di là di ogni possibile fraintendimento i dati dalle valutazioni, che da essi derivano.

La prima parte della relazione è di carattere formale.

Si ripercorrono: la data del conferimento dell’incarico, il quesito ricevuto, le autorizzazioni ricevute, e ogni altro preliminare, poi si deve riferire il calendario di svolgimento delle sedute peritali, con ogni accadimento procedurale relativo alle stesse (verbalizzazioni, eventi particolari accaduti durante le sedute, ecc), è molto importante precisare ogni elemento attinente ai consulenti, di parte e alla loro attività nel corso della perizia.

La seconda parte della relazione risponde alla sintesi degli atti di causa. Ciò non prevede la mera trascrizione degli atti, spesso consistenti in centinaia o migliaia di pagine, né la personale scelta di ciò che il perito abbia ritenuto interessante o peggio confacente alla tesi da lui espressa in sede di conclusioni. Al perito si chiede infatti di dimostrare di aver compreso di cosa si sta trattando e, soprattutto, di esprimere di aver recepito in modo neutrale i dati oggettivi e le tesi delle diverse parti interessate.  

La terza parte della relazione peritale deve essere riservata allo studio dei dati clinici del caso (anamnesi, colloquio clinico, esame obiettivo psicologico- psichiatrico, risultati dei test mentali o degli esami strumentali, esame della documentazione medica del caso), contemplando anche l’acquisizione di informazioni da terzi e nel caso, l’acquisizione delle cartelle cliniche attinenti alla persona. L’anamnesi è un passo fondamentale della diagnosi e deve essere condotta con il massimo approfondimento, in riferimento sia ai dati di carattere somatico e psicologico- psichiatrico, sia in riferimento agli accadimenti di vita, alla storia familiare e altro dato che interessi la condizione clinica e la vita di quella persona, da prima della nascita fino al momento in cui è giunta dinanzi al perito.

La quarta parte della relazione peritale deve essere dedicata alla diagnosi e alla diagnosi differenziale. La diagnosi ricalca i parametri della comune criteriologia diagnostica pur non essendo strettamente vincolata a parametri descrittivi come quelli espressi dal DSM IV-TR, ed è indispensabile che il perito esprima la stessa dettagliando ogni passo del proprio ragionamento diagnostico. Ciò comporta anche l’effettuazione di una rigorosa diagnosi differenziale, confrontando i dati del caso in carico con le altre diagnosi possibili. Il carattere di rigore della diagnosi, d’altronde, è imposto non solo dall’opportunità di non esporre la relazione peritale a contestazione, ma anche e soprattutto dal fatto che da quella diagnosi deriva una valutazione e che da quella valutazione possono derivare decisioni di fondamentale importanza per la vita di quella persona, della sua famiglia, delle possibili vittime del reato e, se occorre, delle persone che in futuro potrebbero essere danneggiate, per esempio da un soggetto aggressivo non riconosciuto come tale e che, grazie alla diagnosi del perito viene rimesso in libertà. Per costante giurisprudenza, nella perizia psichiatrica è comunque richiesta l’adesione a un modello diagnostico di tipo medico, con esclusione di interpretazioni di carattere puramente psicanalitico. Anche nelle indagini di matrice maggiormente psicologica, come per esempio quelle esperite in ambito minorile, è in ogni caso sempre preferibile far riferimento a modelli diagnostici di carattere generale, che non risentano della contraddittorietà tra l’una e l’altra scuola psicoterapica o interpretativa, e che in ogni caso siano scientificamente verificabili. Questa parte riguarderà quindi la valutazione delle condizioni psichiche attuali del soggetto, e mediante un accertamento psicodiagnostico, effettuato attraverso la somministrazione di reattivi mentali comunemente impiegati nella pratica forense e nell’attività clinica[5]. I test così come i colloqui dovranno essere somministrati con la presenza dei consulenti tecnici di parte, e gli stessi con i relativi risultati dovranno poi essere allegati alla relazione.

La quinta parte della relazione peritale è dedicata alla citazione dell’eventuale parere preliminare dei consulenti di parte. Tale contributo, ha una grande importanza perché adempie al fondamentale cardine del principio del contraddittorio, al di là del suo contenuto, e quindi seppur soggettivo e parziale, è costitutivo rispetto al convincimento del “perito peritorum”, ovvero il giudice.  E’ pertanto necessario che tali pareri siano commentati e inseriti nella diagnosi differenziale e nella valutazione del caso, e che il perito motivi la propria scelta di condividere, o meno, le argomentazioni poste.

La sesta parte della relazione è dedicata alla valutazione del caso, ovvero al confronto tra le diagnosi raggiunte e la specifica richiesta espressa dal quesito peritale. Il parere psicologico deve seguire una specifica sequenza di causalità tra condizione della persona e fatto di interesse giuridico, quindi non sono ammissibili, in teoria, né pareri basati sulle nozioni di probabilità, compatibilità o verosimiglianza, né, ancor meno, soggettive e personalissime reinterpretazioni degli articoli di legge, fatte da periti di certo assai competenti nella clinica, ma non altrettanto nella valutazione forense. La valutazione del caso può e deve confrontarsi con quella espressa nelle note preliminari dai consulenti di parte, sempre nell’ottica di un accertamento aperto al contraddittorio e attento a esprimere ogni fase del ragionamento seguito dal perito.

 La settima ed ultima parte comprende infine la sintetica risposta al quesito peritale, nella quale le considerazioni prima esposte vengono sintetizzate in poche parole, in modo ancor più aderente e chiaro rispetto all’incarico ricevuto, sempre ricordando che, in assenza di dati tali da consentire una risposta certa al quesito ricevuto, il consulente è tenuto a esprimere la propria impossibilità a rispondere in modo motivato allo stesso è però possibile che vi siano dubbi dati dalla mancanza di elementi istruttori. In tal caso il parere dovrà essere espresso esplicitando il limite di fruibilità derivante, appunto, dall’assenza di alcune fonti di informazione, fermo comunque restando che, in nessun caso, al perito si chiede di pronunciarsi circa colpevolezza, sussistenza del reato, e altri elementi di esclusiva pertinenza giuridica.


[1] Codice di procedura penale, art 220.

[2] Codice di procedura penale, art 220.

[3] L. T. Pedata, La perizia psicologica in ambito civile e penale, L. Abazia, Franco Angeli, 2015, 116.

[4] R. Ariatti, F. Ingravallo, Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica, V. Volterra, 2010, 8.

[5] L. T. Pedata, La perizia psicologica in ambito civile e penale, L. Abazia, Franco Angeli, 2015, 120.

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