Psicologia Generale

Quali fattori influenzano la sonnolenza?

La molteplicità dei livelli di misurazione e di strumenti di misura della sonnolenza ha permesso una comprensione migliore del fenomeno ma anche delle cause che ne determinano l’insorgenza. In generale le variazioni giornaliere della sonnolenza dipendono sia da fattori endogeni sia che fattori esogeni. Johnson (1982) ha indicato un elenco di cause diverse capaci di influenzare sì è la vigilanza quanto le prestazioni di un individuo.

Potremmo quindi schematizzarle così come riportato in figura

Determinanti della sonnolenza. (Johnson, 1982)

Alla luce delle determinanti appena elencate potremmo suddividere le stesse in due macro aree da trattare separatamente: fattori circadiani e connessi al sonno, e le differenze individuali.

Determinanti della sonnolenza: fattori circadiani e connessi al sonno.

In questa macro area rientrano i fattori connessi al sonno come quantità e qualità, quelli di tipo circadiano, la fatica indotta derivata da un’attività prolungata; tentando di capire come questi contribuiscono a modellare livello di vigilanza.

Determinanti della sonnolenza: differenze individuali.

Tra i fattori capaci di influenzare i livelli di sonnolenza si devono annoverare una serie di tratti individuali che differentemente modulano i livelli di vigilanza. Infatti anche controllando sperimentalmente tutte le variabili circadiane, quelle relative al sonno, si osserva una variabilità interindividuale ed intra individuale dei livelli di vigilanza. Il primo fattore che bisogna considerare apprestandosi ad affrontare le differenze individuali riguarda la distinzione tra le differenze individuali di tipo permanente e quello di tipo temporaneo. Le prime sono da considerarsi delle differenze di tipo costituzionale ovvero caratteristiche che esistono per motivi genetici o fisiologici, tra questi il genere caratteristiche di personalità o la tipologia circadiana. La seconda tipologia invece riguarda perlopiù quell’insieme di capacità e abilità che influiscono sui fattori omeostatici e/o circadiani che producono sonnolenza e che potremmo chiamare anche meccanismi di coping.

Per quanto riguarda le caratteristiche di personalità, la maggior parte degli studi sulla sonnolenza hanno permesso di distinguere due categorie di soggetti: quegli con buona prestazione quella con cattiva prestazione. Durante gli anni 60 si pensò alla possibile esistenza di una relazione tra caratteristiche di personalità e ritmi biologici. Infatti il costrutto che sembra presentare maggior grado di predittività delle capacità di prestazione risultò essere quello di introversione/estroversione riferitesi alla teoria della personalità di Eysenck (1967). Questa teoria infatti individua tre principali dimensioni di personalità: nevroticismo-stabilità, psicoticismo-superego e infine estroversione-introversione. L’autore cercò di spiegare il fenomeno attraverso l’uso di quella che egli chiama inibizione reattiva; ovvero i soggetti estroversi avrebbero dei potenziali inibitori che si svilupperebbero velocemente e si dissiperebbero lentamente. Potremmo dire quindi che alla base della dimensione I-E ci sarebbe il bilanciamento tra eccitazione inibizione. Successivamente lo stesso tuo le riformulò la sua teoria riprendendo il concetto di arousal secondo cui gli introversi presenterebbero un livello di attivazione di base più elevato rispetta gli estroversi.

Più di recente Hockey (1986) ha rigettato questo tipo di modello ipotizzando invece che esista una capacità di controllo diversa: gli introversi sarebbero capaci di esercitare maggior controllo sull’attività interna e quindi meno influenzabili dalla presenza di fattori attivanti come ad esempio droghe, rumori, compiti secondari o incentivi. Per quanto riguarda la relazione tra estroversione-introversione, caratteristiche prestazionali e sonnolenza, i dati risultano contrastanti, alcuni autori, infatti, hanno riportato una serie di dati che indicherebbero come gli introversi fornirebbero delle prestazioni migliori al mattino e peggiori nell’arco della giornata. Tuttavia queste covariazioni non sempre sono chiare e univoche.

Un altro tratto individuale stabile che presenta una relazione con la sonnolenza risulta essere la tipologia circadiana ovvero la caratteristica di mattutinità o serotoninità; la distinzione degli individui sulla base della loro tipologia è risultato un criterio ottimale di predizione sia per alcune prestazioni psicologici sia per alcuni ritmi più prettamente biologici. Questa distinzione è stata resa possibile grazie allo sviluppo di diversi questionari standardizzati come il Morningness-Eveningness Questionnaire (MEQ, Horne e Ostberg, 1976). La versione italiana dello stesso è stata proposta da Violani et al. (1992), i due autori hanno distinto tre principali tipologie i mattutini o M-type, i serotonini o E-type e la categoria intermedia I-type o N-type. Diversi studi elettrofisiologici hanno mostrato come le differenze tra i due tipi di soggetti non riguardi né la lunghezza del periodo di sonno necessario né la struttura del sonno, ma semplicemente l’orario preferito da ciascuno per l’attività e per il riposo, caratteristiche che rimangono costanti anche in condizioni di free-runnig. Altra differenza riguarda il ciclo della temperatura corporea, esso è diverso nei soggetti serotonini e soggetti mattutini, i primi infatti presentano un acrofase posticipata da una tre ore e presentano anche un’ampiezza della temperatura maggiore. Per quanto riguarda le variabili psicologiche si è visto come, per i soggetti mattutini, le prestazioni sia motorie che cognitive siano migliori al mattino, come si presentino prestazioni costanti durante tutto l’arco della giornata ed infine come questa tipologia coincida con la caratteristica dell’introversione.

Le spiegazioni di tipo fisiologico di queste differenze riguardano perlopiù il livello di esecrazione di adrenalina che nei soggetti mattutini sarebbe maggiore al mattino mentre nei soggetti serotonini sarebbe presente un’escrezione costante.

In conclusione questi dati suggeriscono che i soggetti mattutini e sono anche tendenzialmente più introversi, hanno migliori prestazioni e maggiorui livelli di tolleranza alla sonnolenza estrema.

Altro fattore importante riguarda l’età, infatti è noto come ad età più avanzate corrisponda un ciclo di sonno più frammentato, infatti gli anziani presentano un numero più elevato di risvegli notturni e un numero maggiore di sonnellini diurni dovuti più che altro all’accumulo di sonnolenza conseguente alla ridotta quantità e qualità del sonno.  L’età è inoltre spesso connessa al concetto di tipologia circadiana, infatti chi è serotonino o mattutino non è detto che rimanga tale per tutto l’arco della sua vita. Durante primi mesi di vita infatti si instaura un ciclo semplice costante di ritmicità ultradiana il cosiddetto ciclo BRAC ipotizzato da Kleitman nel 1963. Solo dopo i tre anni di età si instaura un ritmo simile a quello circadiano, ritmo che si stabilizzerà progressivamente fino all’età di 15 anni; questo ritmo tenderà ad assumere caratteristiche di mattutinità nei giovani adolescenti mentre per i giovani adulti si osserverà una chiara tendenza alla seroninità. Con il progredire dell’età ovvero oltre cinquant’anni si evidenzia invece una tendenza per tutti soggetti a diventare più mattutini. Quindi questi dati permettono di concludere che livelli sonnolenza sono maggiori e il grado di sopportazione della stessa èvminore al progredire dell’età.

Altre differenze riguardanti le caratteristiche di tipo permanente sono quelle che riguardano i ritmi circadiani in funzione del genere; perlopiù è stato ipotizzato che esse dipendano da alcune diversità della ritmicità neuroendocrina sottostante. Sembra infatti che gli estrogeni funzionino come attivatori del sistema nervoso centrale, mentre il progesterone presenterebbe tendenzialmente un effetto opposto. Alcuni studiosi (Broverman et al., 1968) hanno addirittura proposto un modello delle variazioni di efficienza cognitiva nelle donne:il livello di attivazione sarebbe maggiore al nono giorno del ciclo fino all’ovulazione, quando cioè gli estrogeni sono al loro massimo, mentre il periodo premestruale, con il progesterone e gli estrogeni al minimo, l’attivazione dovrebbe risultar ridotta. In ogni caso è stato comunque sottolineato che le donne rispetto agli uomini presentano un maggiore livello generale di attivazione, una gamma di oscillazioni delle presentazioni più ampia e una tendenza alla mattutinità.

Negli ultimi anni diversi studi si sono occupati del problema relativo ai meccanismi di coping in situazioni lavorative particolari. Alcune rassegne (Rosa, 1990; Harma, 1993) si sono trovati concordi nell’individuare una serie di fattori che avrebbero un ruolo determinante nelle capacità individuali nel far fronte ai cali di vigilanza. Il primo fattore è la responsabilità o impegno: che potremmo definire come tolleranza alla sonnolenza; infatti questa può essere fortemente influenzata dalla disponibilità e dalla motivazione delle persone a conformare le proprie abitudini di vita all’orario lavorativo, tale disponibilità tuttavia è a sua volta influenzata incentivi monetari e alla possibilità di facilitazioni o di avanzamento della carriera. Il secondo fattore che va considerato è la stimolazione ambientale: infatti vari meccanismi possono indurre la sonnolenza durante i turni lavorativi: un ambiente monotono, poco illuminato ed eccessivamente riscaldato. Si è provato individuare quali sono le strategie adattive orientate a movimentare il turno lavorativo e si è così evidenziato come la musica o la stimolazione sonora rappresentano un ottimo metodo per incrementare la prestazione o comunque per prevenire i cali di vigilanza. La temperatura molto elevata risulta un fattore fortemente stressante, pertanto si ritiene utile mantenere l’ambiente a temperatura costante e non molto elevata. Un altro fattore interveniente è l’attività motoria o l’esercizio fisico; è molto interessante come questo possa fungere da un utile contromisura per prevenire la sonnolenza, infatti anche un esercizio leggero come una passeggiata presente la caratteristica di migliorare la prestazione e incrementare il livello di allerta.

Un ultimo fattore ma non meno importante nel promuovere un migliorare le prestazioni o comunque per ridurre la sonnolenza riguarda l’illuminazione ambientale. In vari studi è stato mostrato come la moderata e costante luce artificiale possa innalzare livelli di allerta. Campbel e Dawson (1990) hanno infatti ricontrato come un’illuminazione ambientale costante di circa 1000 lux è sufficiente a migliorare tanto le prestazioni cognitive quanta la vigilanza notturna rispetto ad una condizione di controllo con illuminazione a 100 lux. Tuttavia sebbene livelli di illuminazione sembrano influenzare positivamente alcune variabili prestazionali e soggettive le variabili più direttamente connesse ai livelli di sonno lenza quali potenze spettrali delle onde delta e theta nell’EEG dei soggetti ad occhi chiusi, non sono risultate sensibili alle diverse intensità di illuminazione. Un altro metodo ben conosciuto e comunemente utilizzato è quello del ricorso ad aiuti farmacologici, spesso infatti si fa uso, per promuovere la vigilanza, di eccitanti tipo caffeina e anfetamina oppure per facilitare il sonno ipno-inducenti come le benzodiazepine.

Un altro fattore da tenere in considerazione nella gestione dello stato di vigilanza è quello legato a regime di dieta; la ricerca infatti si è rivolta allo sviluppo di regimi alimentari tali da favorire vigilanza o rilassamento. Diversi studi (Lennernans et al., 1994) hanno evidenziato una serie di variabili nutrizionali al fine di individuare la dieta giusta all’aumento della vigilanza: una quantità ridotta o moderata di cibi altamente proteici può aiutare a sostenere periodi di allerta, mentre cibi con alte concentrazione di carboidrati hanno la caratteristica di indurre la sonnolenza.

Tra le caratteristiche di coping vanno considerate anche le norme chiamate igiene del sonno (Zarcone, 1994) ovvero una serie di comportamenti errati che spesso vengono adottati in concomitanza con la fase di addormentamento che possono rendere difficile la transizione veglia-sonno. Tra questi comportamenti ci sono la rumorosità dell’ambiente, la temperatura, la quantità e qualità dei cibi o di liquidi assunti precedentemente, l’assunzione di nicotina o di altre sostanze quelle di esempio quelli facenti. Studi invece si sono perlopiù focalizzati su quella che è la gestione della vigilanza e le modalità di coping riguardanti appunto la sonnolenza in ambito lavorativo: è stato evidenziato che la presenza di sonnellini preventivi consentono di mantenere livelli di prestazioni migliori rispetto a quelle osservate in assenza di sonnellini.